Il complesso nacque nel 1882 e fu chiuso nel 1999.
Ma l’area del San Martino ha una storia antica. Il primo dato sensibile dal punto di vista archeologico risale al Medioevo. È “muro della traversa” eretto durante la guerra decennale che divise Como e Milano. Un baluardo a difesa della città lariana – non si è ancora capito se solo in muratura o anche con strutture lignee –. Insomma una parete di contenimento e di sbarramento verso Sud.
Un muro, quindi, è stato l’involontario profeta di un altro contenimento, quello destinato a circoscrivere e limitare la cosiddetta malattia mentale: dal 1882 al 1980 i ricoveri furono 61.352. Un quartiere isolato dal resto della città, il manicomio, che sarebbe potuto sorgere anche nell’area “Gerbetto” (nel 1871 un concorso in merito raccolse 15 proposte architettoniche). Il modello fu il manicomio di Imola che allora si riteneva esemplare. Nel 1882 la struttura viene infine costruita sulla collina di San Martino, con progetto degli ingegneri Pietro Luzzani e Giuseppe Casartelli, per «dare ricovero a 440 individui, 220 maschi e 220 femmine».

Ai primi quattro corpi simmetrici seguirono tra il 1906 e il 1913 i padiglioni autonomi, immersi nel verde, la Colonia Agricola (per avere più terra da coltivare venne anche modificato il tracciato della Statale per Lecco), e il “Reparto bambini”, più a monte. Villa Monteverde dove poi si è insediata l’Arca di don Aldo Fortunato è il più antico immobile del comparto del San Martino: è stato edificato nel 1721.
Il manicomio di via Castelnuovo fu inaugurato il 28 giugno 1882 ma in città se ne parlava fin dal 1857. Si scelse la collina del San Martino perché «sopraelevata e assai vicina alla città, sulla sponda sinistra del torrente Cosia nelle vicinanze del ponte di San Martino, con facile accesso sulla strada provinciale per Lecco, e dotata di abbondante e perenne sorgente di ottima acqua che si poteva far pervenire dalla prossima masseria dello “Scott”, riassumeva le caratteristiche desiderate dal Consiglio Provinciale, e rispondeva a tutte le esigenze della scienza», come spiega lo studio di Ferdinando Maggiotto (direttore del manicomio comasco dal 1914 al 1940) L’Ospedale Provinciale Psichiatrico di Como durante il quadriennio 1929-1932. Cenno storico nella ricorrenza del cinquantesimo anno della fondazione (Como, Nani, 1932) in cui una documentazione iconografica unica racconta la vita quotidiana degli ospiti della struttura.
Fu un percorso lungo un quarto di secolo quello che portò a individuare la collina come sede dell’Opp. L’edificazione del primo blocco, quello destinato ad accogliere i primi 577 pazienti, venne deliberata dal consiglio provinciale di Como il 4 giugno 1878, con un costo di quasi 586mila lire. Con il suo immenso parco, era il più grande manicomio della Lombardia, con 33mila metri cubi di volumetria totale.

Come spiega Maggiotto, fu un anno critico, il 1857: «Fu in quell’anno che il grande affollamento degli infermi nell’istituto di Senavra in Milano (ove la provincia di Como ricoverava i propri malati) che era unico per tutto il dominio lombardo, determinò la Luogotenenza di Lombardia a dichiarare alla congregazione comense che si imponeva la necessità della costruzione di un nuovo manicomio».
Nel 1869 la Senavra minacciò di non accettare più alienati dal Lario. Si dovette optare per una soluzione-tampone: vennero allestiti spazi presso l’ospedale Sant’Anna «dove accogliere i malati di mente più bisognosi» come annota Gianfranco Giudice nel suo fondamentale studio Un manicomio di confine. Storia del San Martino di Como (Bari, Laterza, 2009). Ma una volta edificato il San Martino si rivelò subito insufficiente, come sottolinea Giudice.
Una vera città nella città, autonoma, seppe mettere in piedi la Como di fine Ottocento al San Martino.

Una città progettata per 500 persone che è arrivata ad accogliere fino a mille pazienti di tutte le età, bambini compresi. Nel 1936, un alienista denunciò la presenza di soli 5 medici per 1.482 malati. La popolazione manicomiale complessiva, conteggiando anche i malati “parcheggiati” per carenza di spazi a Villa Soldi di Alzate Brianza, toccò la cifra massima alla fine del 1970, una delle più alte in Italia, con 1.996 pazienti. Al San Martino vigeva l’ergoterapia: nel 1884 la percentuale di pazienti-lavoratori era del 22%. Tra quelle mura ferveva cioè l’attività: vi nascevano stoffe e scarpe, c’erano stalle dove si producevano latte e formaggi per la città e per l’ospedale, e immensi orti che alimentavano il quartiere. Venne addirittura sbancata una collinetta, per realizzare un’area utile a nuovi insediamenti manicomiali. Come annota Giudice, «la colonia ergoterapica industriale dell’Ospedale psichiatrico di Como, dagli stessi malati battezzata come “La Rinascente” per la molteplicità delle lavorazioni che col passare del tempo vi si impiantarono, era una delle più complete ed efficienti tra quelle presenti nei manicomi italiani».
L’Ospedale psichiatrico di San Martino fu fatto funzionare fino alla fatidica “Legge Basaglia” che il 13 maggio 1978 decretò la chiusura dei manicomi di Stato. Gli ultimi pazienti se ne sono andati nel 1999.

Lorenzo Morandotti (Corriere di Como)